Maurizio Vaninetti, oste, cuoco e titolare dell’Osteria del Crotto di Morbegno (SO), è prima di ogni altra cosa un promotore del territorio e un gastronomo del territorio.  Lavora attivamente per un innovativo modello di agricoltura e di allevamento in valle, a sostegno di piccoli agricoltori, allevatori, mugnai, casari, norcini e pescatori – tutti elencati in carta –, che si rispecchia in un modo nuovo di intendere la ristorazione. Al bando menù turistici o l’opulenza fine a se stessa di certe preparazioni valtellinesi: i piatti di Maurizio, sostenuto dal socio Carlo, sono, dal primo all’ultimo, un esempio dell’integrità della materia prima unita all’abilità e alla passione nel trasformarla.” (recensione di Osterie d’Italia)

Maurizio Vaninetti . Slow Cooking
Maurizio Vaninetti

D: parlaci della tua attività di ristoratore

R: Quest’anno sono 25 anni che ho aperto il ristorante. Essendo un’autodidatta sono partito con la presunzione di saper gestire un ristorante, e i primi sei mesi sono stati una tragedia, è stata durissima, ho pagato di tasca mia tutta l’inesperienza che avevo. Anche il secondo anno di attività l’ho pagato pesantemente perché ho perso tanti clienti, poi lentamente nel tempo sono tornati tutti. Ho fatto un percorso inverso nel senso che sono partito da una cucina molto elaborata molto vicino alla cucina di grido di allora – la nouvelle cousine – e dopo 5 – 6 anni ho iniziato a fare degli altri ragionamenti e mi sono “evoluto” dal punto di vista culinario perché sono ritornato alla cucina classica. Ho deciso che per fare cucina sul territorio dovevo utilizzare prodotti territoriali e nel 2004 abbiamo fondato Slow Cooking. Adesso sono 12 anni che ci siamo e da allora, dal mio punto di vista, c’è stato il salto di qualità. Pian piano c’è stata la possibilità di acquistare sempre più prodotti territoriali.

D: anche grazie al progetto di filiera che sta partendo promosso da Slow cooking

R: Stefano Masanti, un ristoratore che aderisce alla rete Slow Cooking, si sta occupando dell’implementazione del progetto di filiera dei prodotti territoriali VITA. Il progetto è di Slow Cooking ma abbiamo ritenuto opportuno coinvolgere anche l’Unione Commercianti perché vi era la possibilità, come è poi successo, di ottenere un finanziamento. Il progetto è stato approvato, è stato finanziato con 50mila Euro, e di conseguenza c’è la possibilità di avviare questa sperimentazione che coinvolge produttori, ristoratori e chi fa uso di questi prodotti. In rete ci sarà la possibilità di acquistare i prodotti e il produttore deve fare lo sforzo, aiutato, di far sapere che cosa ha a disposizione. Una prospettiva diversa da quelle abituali ma che i produttori iniziano a comprendere. In questo momento ci sono le condizioni perché il progetto divenga fattibile. Utilizziamo questa iniziativa in cui sono stati investiti dei soldi pubblici, che non sarà la soluzione definitiva, ma che può rappresentare un inizio sia per la valorizzazione delle produzioni locali che della ristorazione.

In questo momento abbiamo bisogno di avere i produttori per implementare la piattaforma tecnologica dei prodotti locali. Sono anni che sentiamo dire che “il prodotto c’è” ma poi nessuna sa dove trovarlo. Il progetto di filiera necessita di un coinvolgimento attivo sia di una serie di produttori che di utilizzatori ed è interessante anche solo dal punto di vista della comunicazione. La proposta è in discussione da quasi 10 anni ma finora la nostra iniziativa non ha mai interessato nessuno, ma grazie ad un Bando il nostro progetto è stato finanziato. La nostra idea originaria era quella di creare una microeconomia all’interno della Valtellina, adesso che Slow Cooking è presente in 5 province, e di conseguenza la rete è più ampia.



D: l’idea di una cucina “Slow” che origini ha?

R: L’idea inziale di Slow Cooking è stata di Giacomo Mojoli, giornalista e docente universitario, che ha contatto me e Stefano Masanti con l’obiettivo di creare un gruppo di ristoratori in Valtellina che utilizzassero prodotti di territorio, che portassero avanti un discorso di microeconomia, che stimolassero la produzione di alta qualità in Valtellina e che cercassero di riposizionare l’immagine della ristorazione in Valtellina. Questo progetto doveva partire dalla Valtellina per poi diventare un progetto di Slow Food. L’idea era questa, ma Slow Food ha optato per i Ristoranti dell’Alleanza in cui vengono utilizzati i prodotti dei Presidi. Questo significa che questi ristoranti non utilizzano solo prodotti locali ma quelli del circuito Slow Food.

D: E’ un periodo di grandi cambiamenti anche in Valtellina…

R: Certo, in questo momento, ad esempio, una grande latteria valtellinese sta cercando le piccole produzioni di formaggi che non sono all’interno del suo Consorzio, e questo la dice lunga sui cambiamenti che si dovranno compiere. Ci hanno impiegato almeno 10 anni a capire queste cose però se la cosa prende questa forma è una cosa positiva per tutti perché si inizia a capire che fare il Bitto ha un seno farlo dove lo sanno fare e non in tutta la Valtellina. Uso questo esempio molto conosciuto per dire che ha poco senso “inventare” una tradizione. La stessa cosa succede sui grani: è ridicolo affermare che in bassa Valtellina si faceva produzione cerealicola, si producevano quantità molto ridotte ridicole rispetto a quelle realizzate a Ponte in Valtellina, Chiuro e Teglio. Dieci anni fa in occasione della Fiera del Bitto è stato fatto un Bando in cui si chiedeva di utilizzare delle ricette storiche della zona di Morbegno: è emerso come materia prima il pesce d’acqua dolce. Io mi ricordo fin da bambino che il pesce d’acqua dolce faceva parte della nostra dieta e infatti sono 25 anni che utilizzo nel mio ristorante pesce d’acqua dolce. La gastronomia della bassa Valtellina è diversa da quella dell’alta e della media valle. Da noi si mangiavano conigli, oche, la pasta, pesce d’acqua dolce, qui i pizzoccheri non li faceva nessuno. I primi pizzoccheri io li ho mangiati a Ponte in Valtellina 40anni fa.

D: su che rete di collaborazioni può contare Slow Cooking sul territorio valtellinese?

R: Noi abbiamo cercato di coinvolgere sui temi di Slow Cooking la Coldiretti e altre realtà. Con il Consorzio Vini di Valtellina noi abbiamo un ottimo rapporto, abbiamo collaborato insieme a loro a Vinitaly. Più difficili sono i rapporto con gli altri Consorzi della Valtellina anche perché al territorio danno poco. Il nostro progetto prevede di creare reti di collaborazioni tra produttori, trasformatori, ristoratori, cioè strutturare una filiera di prodotti e produttori. Per fare questo è necessario anche un sistema di trasporti, di logistica.

D: alcune chiavi di interpretazione di cosa è oggi la ristorazione in Valtellina?

Se devo essere cattivo, in questo momento, e parlo in termini generali ovviamente, la ristorazione valtellinese è una ristorazione per un turismo di basso livello; ma preferisco dire delle cose positive per far capire alle persone e ai miei colleghi quanto sia importante il territorio. Non si può solo prendere ma bisogna anche ri -dare al territorio che significa acquistare, comperare, promuovere i produttori, i prodotti, etc.

In questo momento nel mio ristorante utilizzo le patate biodinamiche prodotte da More Maiorum, dall’Officina della terra. La differenza tra un prodotto di qualità coltivato con certi criteri e un prodotto di agricoltura convenzionale sta innanzitutto nella resa. Io con un 2kg. di orzo faccio una zuppa per diverse decine di persone; certo l’orzo certificato costa il triplo di quello convenzionale ma la differenza sta nella resa. Questo vorrei far capire ai miei colleghi: il territorio ti può dare tanto e allo stesso tempo può facilitare il lavoro. Io faccio una crema di porri e patate con un trancio di baccalà che ha un discreto successo e questo successo è nato dalla qualità del prodotto non dalla mia bravura. La condisco con un filo di olio del Lago di Como, non uso grassi. La mia ristorazione si basa sull’utilizzo di materie prime di alta qualità prodotte il più vicino possibile. A Perledo trovo dell’olio di alta qualità che utilizzo a crudo. Io utilizzo farine biologiche, uova biologiche, utilizzo prodotti biologici ma non elitari. Il grano saraceno prodotto in Valtellina è esplosivo per sapore e per qualità. Faccio un altro esempio: un mio collega di slow cooking di un’altra provincia ha scoperto la farina di segale che produciamo in Valtellina, e che impasta con altre farine biologiche, del lievito madre, etc. per realizzare delle pizze e del pane. Questo per dire che il prodotto se è di qualità puoi esportarlo. La segale e il grano saraceno coltivati a Teglio non hanno eguali perché hanno un profumo, una consistenza ed una fragranza che le altre farine non hanno. La Valtellina deve comprendere il valore del suo patrimonio agricolo e quello che potrebbe rappresentare dal punto di vista economico. Da qui un altro dei problemi della ristorazione valtellinese, quello di non poter contare su quantitativi di prodotto.

D: da anni ti batti per un pizzocchero preparato con materie prime certificate…

La differenza di prezzo tra un piatto di pizzoccheri realizzato con materie prime di qualità e convenzionali è di circa 50 – 60 centesimi a piatto. Questa è la differenza che la maggior parte dei ristoratori valtellinesi non riesce a cogliere.

I turisti non devono più pensare di venire in Valtellina pensando che si possa mangiare quantità di cibo a poco prezzo. C’è la convinzione che in Valtellina si debba spendere poco per mangiare, perché ci sono ristoranti dove con 20Euro mangi antipasto, primo e secondo. Se vuoi fare un certo tipo di ragionamento gastronomico non puoi avere questi prezzi, non puoi continuare a servire piatti in cui conta solamente la quantità. Io non compero la bresaola a nove euro al Kg ma a 25, e quindi non posso servirne un etto a persona. Il turista ha una visione distorta della Valtellina e cioè di trovarsi in un luogo dove puoi mangiare quanto vuoi, magari sprecando, e pagando poco. Questo è quello che è stato trasmesso finora dalla ristorazione: quantità a basso costo. La Valtellina deve diventare un luogo dove paghi il giusto per quello che ti viene dato. La promozione della ristorazione della Valtellina deve essere questa e non quella del pizzocchero da Colico a Livigno. Ma perché il pizzocchero? Perché è un piatto che rende tanto e costa poco. Farina, acqua, burro da tre euro il Kg. e formaggio non si sa, e di conseguenza puoi ottenere un piatto che ha lo stesso ricarico della pizza. Se il costo di un piatto di pizzoccheri è di due euro e lo proponi a 8Euro è una miniera d’oro per chi lavora sui numeri. Viceversa dobbiamo fare “i numeri” facendo pagare il giusto e utilizzando prodotti di un altro livello, un livello che non è quello dei prodotti che vengono utilizzati adesso per preparare i pizzoccheri. Vi sono ristoranti che offrono i pizzoccheri con il Bitto questo per dare l’idea della deformazione della gastronomia in Valtellina fatta per commercializzare dei prodotti sbagliati a livello di mercato.

D: che cosa deve fare la ristorazione per rappresentare un volano a supporto del turismo?

R: Lavorare con il turismo gastronomico si può fare solo se si cambia il modo di comunicare la gastronomia, il modo di comunicare i prodotti. Il formaggio semigrasso polacco viene venduto a 4 Euro al Kg., e per vendere il nostro dobbiamo venderlo a 4,50 Euro perché altrimenti non lo vendi. E chi paga tutto questo? Lo paghiamo noi perché gli allevatori vengono finanziati per poter fare il formaggio. In Valtellina ci sono troppe mucche da latte. E’ possibile che non siamo ancora riusciti a fare una filiera di carni valtellinese? E’ possibile che non si riesca a fare un allevamento allo stato semibrado di 200 manzi in tutta la Valtellina? E’ possibile ma perché non lo fanno? Perché non vengono finanziati. Nessuno finanzia l’allevamento da carne, e quei pochi che comunque lo fanno hanno dei prezzi per la ristorazione inavvicinabili. Una bistecca viene a costare all’origine 26 – 30 Euro al Kg. In Valtellina non vengono fatti dei prodotti che siano fruibili con un livello di prezzo accettabile. Poi c’è il problema della verdura che non c’è. Non si può fare una ristorazione di territorio senza i prodotti del territorio. Da quest’anno i ragazzi dell’Officina della Terra pianteranno un po’ di orto in più per cui ci sarà un po’ di verdura. La ristorazione deve fare un salto di qualità ma per fare questo ci vogliono i prodotti. Se non abbiamo il prodotto non possiamo fare nessun tipo di ragionamento. Ci deve essere qualcuno che indirizza gli agricoltori a fare determinate produzioni, produzioni mirate alle esigenze della ristorazione. Sto parlando anche solo le verze che si utilizzano per i pizzoccheri, in questo momento arrivano quasi tutte dall’esterno.

L’eccellenza costa perché è poca e non è per tutti. Io compero il pesce sul lago e quando non ne viene pescato non lo trovate nel mio menù, cambio menù, introduco un altro piatto. Noi non dobbiamo più permettere che la Valtellina passi per un luogo a buon mercato. La ricetta della polenta Taragna della Valgerola prevede l’utilizzo di due etti di formaggio e un etto di burro a persona. Solo in termini di costi la polenta Taragna della Val Gerola che utilizza prodotto della Valgerola costa 9 Euro, mentre nell’immaginario collettivo la taragna è considerata un piatto povero. Noi dobbiamo si educare il consumatore ma veicolare anche un messaggio al cliente, al turista, che la Valtellina non è il paese del bengodi dove si mangiano cose divine a prezzi ridicoli. In Valtellina se vuoi mangiare bene paghi il giusto, è tutto qui.


Riferimenti

 

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