Il gelso, Morus Alba L., appartiene alla famiglia delle Moracee, di cui fa parte pure il fico. La caratteristica di questa pianta è un lattice che viene secreto come difesa a ferite o lesioni per evitare la penetrazione di parassiti nel loro organismo. Al genere Morus appartengono dodici specie distribuite nelle zone temperate del nostro emisfero. Il gelso è albero di media grandezza, ma può arrivare anche a venti metri e vivere qualche secolo; ha una corona espansa e densa; la corteccia, quando è giovane, è grigia, poi si incupisce tendendo al bruno e si fessura nel senso della lunghezza; i rami sono lisci e glabri. Le preziose foglie che attraverso il filugello ci danno la seta, sono alterne quasi contrapposte, con breve picciolo scanalato; a volte hanno forma di cuore altre trilobata, con i margini seghettati irregolarmente, acute agli apici; il loro colore è di un bel verde chiaro. Fiorisce in aprile-maggio e lo stesso soggetto porta fiori maschili e femminili in amenti peduncolati. I frutti originati dalla infiorescenza sono lunghi un paio di centimetri di colore avorio, o bianco-rosato, o rosso vivo e cupo; il loro sapore risulta dolce ancora prima della maturazione. Il Morus Alba, la cui terra d’origine è la Cina, è giunto in Europa in antichissima data; la sua coltivazione si è poi estesa fin dove era possibile, seguendo lo sviluppo dell’industria della seta.
“Il gelso era da Plinio considerato “Albero sapientissimo” perché è l’ultimo a sbocciare e l’ultimo a maturare la frutta; in questo modo evita i dannosi effetti del freddo intempestivo e i frutti restano a lungo sui rami. Pare anche che le donne romane e greche con il succo di questi frutti si tingessero le guance.» – Mario Rigoni Stern – Arboreto salvatico – Einaudi 1991.
La pianta è famosa a Ponte in Valtellina, si dice che già nel Seicento fosse un albero centenario. La forma tipica è dovuta alle numerose capitozzature fatte in passato per la raccolta delle foglie da destinare all’alimentazione dei bachi da seta.
Scheda Tecnica
- Specie: Gelso Bianco (Morus Alba L.) Mulberry
- Etimologia: Il nome del genere Morus deriva dai Romani. Dal latino “morus celsa”, moro alto in contrapposizione alla mora di rovo
- Circonferenza cm 444
- Altezza mt. 10
- Condizioni fitosanitarie: medie
Check up del Gelso monumentale di Ponte in Valtellina – 13 febbraio 2016 – organizzato dalla Scuola Ambulante di Agricoltura sostenibile
Il monumentale albero, che la gente del paese conosce come il “muruné” è stato sottoposto ad un check up promosso dalla Scuola Ambulante di Agricoltura Sostenibile il 13 febbraio 2016 in collaborazione con lo Studio di Arboricoltura di Giussano (MB) e grazie al contributo Andrea Pellegatta e Claudio Ceconi arboricoltori professionisti. In quell’occasione è stato prelevato anche del materia biologico derivante dalla potatura che verrà riprodotto per talea e nuovi esemplari (un centinaio circa) saranno resi disponibili il prossimo anno per essere piantumati come simbolo della tutela e della valorizzazione dell’agro biodiversità alpina a cura della Scuola Ambulante di Agricoltura Sostenibile.
E’ stata eseguita anche a scopi didattici la valutazione della stabilità del Gelso utilizzando il metodo VTA (Visual Tree Assessment).
ll GELSO bianco e nero – Frutti Antichi – Rassegna di piante, fiori e frutti dimenticati
Con le more del gelso NERO si producono marmellate, gelatine, confetture, sorbetti, dolci, grappe, sotto spirito. L’uso dei frutti in macedonia di piccoli frutti ne migliora sapore e profumo. Aromatizzante e colorante per gelati, conferisce un colore blu-violetto. L’infuso di foglie di gelso nero ha proprietà antibiotiche. La polpa viene usata in cosmesi per maschere lenitive di pelli secche, il succo trova uso in in lozioni idratanti.
Proprietà medicinali di frutti, foglie, radici e corteccia: espettorante, depurativo, lassativo, rinfrescante e tonico; un tempo non molto lontano venivano indicate per lenire afta, angina, astenia, stipsi e stomatite.
Il gelso BIANCO ‘e attualmente pochissimo usato come pianta da frutto dato il sapore poco gradito (dolciastro con una punta di acidulo). I frutti venivano considerati lassativi. Per l’elevato contenuto di zuccheri (22%) diverse popolazioni asiatiche li utilizzavano come edulcoranti, sia freschi sia secchi, ridotti in farina. Per fermentazione e’ possibile ricavare una bevanda alcolica; il legno era utilizzato per fare attrezzi e piccoli lavori di intarsio. L’uso del gelso bianco era legato all’allevamento del baco da seta.
L’allevamento del baco da seta fonte Lombardiabeniculturali.it
Fin dal Medioevo in Brianza si coltivavano i gelsi per i bachi da seta che producevano un prodigioso filo sottile, lucente e al tempo stesso solidissimo.
I terreni delle colline briantee si erano rivelati infatti particolarmente favorevoli alla coltivazione del gelso, indispensabile per l’ allevamento dei bachi e per la produzione della seta, tanto che questo era diventato l’ albero principe delle campagne di Brianza, dove aveva raggiunto cifre da record (circa 2,5 milioni di piante nel 1835). Parallelamente alla diffusione dei gelsi, fino a tutta la prima metà dell’ Ottocento si registrò una crescita esponenziale del numero delle filande e delle altre attività legate alla lavorazione della seta. In nessun’ altra parte d’ Italia, la gelsobachicoltura aveva registrato tali brillanti risultati e aveva inciso tanto profondamente nella vita dei suoi abitanti. I bigattieri di Brianza venivano ricercati in altre regioni italiane e addirittura all’ estero per la loro perizia nell’ allevamento dei bachi e a Rancate di Triuggio nel 1877 sorse il più importante centro per la selezione e lo studio dei bachi da seta, l’ Istituto Bacologico Susani. Nei primi decenni del regno d’ Italia l’ industria serica subiva la prima grave crisi, imboccando una china che porterà, dopo la seconda guerra mondiale, alla scomparsa di questa produzione nella Brianza milanese. Spiace che nulla sia stato fatto per salvaguardare qualche traccia di quella che fu un tempo una fiorentissima attività. A rammentarcela resta solo qualche gelso superstite, ma sono rimasti in pochi a riconoscere quello che un tempo era chiamato «l’ albero dell’ oro”. (Ronzoni Domenico Flavio).

Presso il laboratorio della Cooperativa di Canneto sull’Oglio (Mn), una ventina di donne guardano in macchina mentre proseguono il lavoro alla selezione dei bozzoli. Le operaie smistano le gallette sedute a lunghi tavoli, a terra grosse ceste di vimini. Al pilastro del porticato è appeso un cartello che espone un’indicazione comportamentale: “Bestemmia è frutto di cattiva educazione”. In piedi, davanti al pilastro il sorvegliante ed una delle due operai che stanno svuotando le ceste, a causa del movineto risulta fuori fuoco.



L’ha ribloggato su Max9000's Bloge ha commentato:
MI SOMIGLIA……..